U come Utopia e Urbanistica
- Zip Torino
- May 7, 2016
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Conferenza 7 Maggio 2016, Centro di Incontro Montale
‘Quartieri nati in epoche diverse, in diverse città, portatori di pratiche virtuose di progettazione o di risanamento nel corso del tempo’

Interventi:
“L’esperienza progettuale legata a Vallette: tentativo di utopia o realtà economica?”
Arch. Matteo Olivetti: “L’esperienza eporediese. Utopia realizzata?”
“Il significato di utopia nel Novecento. E oggi come si [ri]utilizza? E’ possibile riconvertire un’utopia in una realtà?”
Da lungo tempo esiste, nella storia della cultura occidentale, una stretta connessione fra architettura, urbanistica e utopia. È consuetudine considerare il dialogo platonico che tratta, tra l'altro, della città ideale (la Repubblica) come la prima utopia di questo filone culturale. L’utopia è prima di tutto il progetto di una società idealizzata, in cui si tenta di correlare di tutti gli aspetti delle attività umane, compreso il rapporto con la natura, il rapporto tra i singoli individui e gli spazi che ad essi competono. Non è una vera e propria innovazione moderna: è innovativa la volontà di costruire un'intera narrazione (manifesto) su questioni legate a società, politica, urbanistica e architettura. E’ l’Ottocento il secolo più fecondo in tal senso senza nulla togliere alle esperienze novecentesche.
Dal 1940 L. Mumford parla di “cultura delle città” cioè un approccio antropologico che guarda alla città come prodotto di una intenzione specifica, quel fare città che si sottrae a una idea di pianificazione dall’alto e invece individua nel fare città una delle più antiche caratteristiche della pratica umana. Prima di lui, agli inizi del ‘900, Kropotkin aveva posto le basi per una matrice umanistica della pianificazione e dell’urbanistica.

In questa visione, del tutto attuale, in cui l’idea di città e territorio è legata alla produzione umana di coesione sociale e di gestione dello spazio. In cui si è consapevoli delle numerose trasformazioni della società e quindi dei cambiamenti all’interno delle comunità stesse, senza trascurare le mutevoli percezioni della città da parte di chi la abita, ci chiediamo a quali modelli tendere.

Appare chiaro che utopie obsolete non possano essere considerate, in toto, come risposta alle necessità di oggi e riferimento per la [ri]progettazione delle nostre città, ma il progettista, inteso anche come urbanista, in che modo può prevedere questa complessità? É possibile darsi degli strumenti di conoscenza “attuali” che orientino quelli per un intervento futuro, senza allontanarsi dalla matrice umanistica? Cambia la società, cambiano le esigenze, cambiano le aspettative. Quindi cambiano le utopie? E ancora: tutte queste utopie non totalmente realizzate possono essere trasformate in realtà abitabili?
Grazie a Border Radio Media Partner per il sostegno e la collaborazione all'intera iniziativa.
Il link per ascoltare la conferenza "U come Utopia e Urbanistica":
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